Pianticella annuale, originaria dall'Egitto e dalla Siria. Si coltiva dovunque, massime nelle regioni meridionali ed in Sicilia, ma principalmente in Francia. Vuole terreno leggero, caldo, sostanzioso. À foglie somiglianti al prezzemolo, fiori piccoli bianchi in luglio, nel linguaggio dei fiori: Amorevolezza. Matura in agosto. Gli steli si mangiano verdi, i semi a foggia di granellini ovali alcun poco allungati, che conservano la virtù germinatrice per tre anni, d' un sapore dolce, aromatico, caldo, zuccherino e di odor soave, sono stomatici e servono per molti preparati di cucina, confetteria o liquoreria. Facilitano la digestione e combattono il dio Eolo. Sono utili nel singhiozzo. Ànno le stesse proprietà del finocchio.
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Pianticella annuale, originaria dall'Egitto e dalla Siria. Si coltiva dovunque, massime nelle regioni meridionali ed in Sicilia, ma principalmente in
Radice biennale indigena carnosa, tonda, zuccherina, originaria dalle coste eurepee dell'Atlantico e del Mediterraneo. Principali varietà: la campestre, rossa all'esterno, screziata di bianco e roseo all'interno, e la gialla oblunga e rotonda che servono specialmente per il bestiame. Le mangiereccie sono: la bianca di Slesia bianca all'interno ed all'esterno detta Beta Cycla (in francese Navet) che è quella che contiene maggior quantità di zuccaro, e la rossa preferita per gli usi domestici ed è la più nutritiva, ma è pur quella che ingrossa meno. La barbabietola contiene il 88 % di acqua. Si spargono i semi in febbraio e marzo, in terreno fresco, profondo, pingue. I semi ànno virtù geminatrice fino ai 6 anni. Si colgono i frutti in agosto. Si mangia cotta (meglio al forno) condita in insalata, col sedano, la patata, le cipolle, col crescione. Serve di horsd'oeuvre, colle olive, le sardine, ecc. La vogliono alquanto indigesta. Dalla barbabietola Cycla, quando è novellina, se ne levano le foglie dette da noi erbette che si mangiano bollite, e servono nella minestra e a marinare le zuppe. I suoi nervi, quando è invecchiata, diconsi da noi cost (in francese còtes de poirèesj, e si mangiano concie con burro, sale e cacio, richiedono molto condimento e le foglie (bied) vengono pure usate nelle zuppe e negli erbolati (scarpazza) e nelle medicazioni vescicatorie. La barbabietola attualmente è coltivata in grande, onde cavarne zuccaro. Troviamo nominata la barbabietola da antichissimi autori, ma con poca lode.
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Radice biennale indigena carnosa, tonda, zuccherina, originaria dalle coste eurepee dell'Atlantico e del Mediterraneo. Principali varietà: la
(Cap. IV, 14). — Plinio, dice che à ogni sua ricchezza nella corteccia «Omnem in vortice dotem habens.» Fu sempre ritenuto come un eccitante e riscaldante. S' adoperava per fare l'ippocrasso, detto quindi Cinamomites che è il nostro vin brulè. Si credeva corroborasse il cervello e giovasse alla vista. Gli Àrabi la chiamavano Querfe, i Persiani Barsini. Gli Indiani ne usavano i rami a far corone per i vincitori. Lodovico Romano nel Libro VI Delle Navigazioni al cap. 4 dice che nell'isola di Ceylan, Patria originaria della canella, è credenza che «il santo Adamo, dopo del peccato commesso, havere ivi col Pianto et con l'astinenza, ricomperata la colpa, la qual cosa affermano con tale congettura che ivi si veggono ancora le vestigia dei piedi suoi di lunghezza di più di due palmi.» Il che si può credere pensando che Adamo doveva essere ben piantato.
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Navigazioni al cap. 4 dice che nell'isola di Ceylan, Patria originaria della canella, è credenza che «il santo Adamo, dopo del peccato commesso
Il suo nome dal greco Daucus che vuol dire bruciare, perchè i semi della carota si ritenevano molto riscaldanti. Vuolsi originaria dalle sponde del Mar Rosso. Nel linguaggio dei fiori: bontà. È una radice indigena annuale succosa, carnosa. Oltre la selvatica, abbiamo la varietà bianca, rossa, violacea e gialla. Da noi specialmente si coltiva la rossa e la gialla, ma la più stimata di tutte è la bianca o moscatella, che sembra essere lo Staphylinos di Galeno e di Dioscoride. vuole terreno grasso e lavorato. Si semina alla fine di marzo, e il seme à virtù produttiva fino ai 5 anni e più. In ottobre e novembre si raccolgono le radici e si custodiscono entro la sabbia per gli usi domestici, oppure si lasciano nel terreno, purchè ben esposto e difeso dal gelo. Nella seguente primavera si ottiene la semente. In Inghilterra e nel napoletano si coltiva in grande anche per foraggio ai cavalli. La carota è una verdura ricca di amido e di zuccaro, che dà un cibo sano ed aromatico, che ingrassa. Piccola o grossa, fresca o conservata, la carota è sempre sana, agisce direttamente sul fegato ed è di aiuto a conservare la bella ciera. Il Tanara, vuole che la parola carota venga dal latino caro optala, o da caro radix, perchè cotta in brodo nutrisce come la carne. Si fa cuocere colle carni per dar loro sapore, si mescola in molti intingoli, allegra la busecca milanese, serve di letto alle salsiccie, è la sorella, direi quasi la gemella, del Sedano: dove va l'uno, va quasi sempre anche l'altra. Si fa cuocere in acqua e brodo, tagliata a fettuccie, si condisce col burro ed è eccellente piatto di verdura, si mangia in insalata. Colla sua polpa se ne fanno puree e torte, entra in molte salse. Le foglie verdi servono ad allontanare le cimici, mettendole nel pagliericcio o strofinando con esse le lettiere. La carota infusa nell'alcool dà un liquore nominato Olio di Venere. Se ne può cavare un'acquavite migliore di quella dei cereali. I suoi semi sono aromatici e lievemente stimolanti. In Inghilterra se ne fa un grato infuso teiforme. Nel nord della Germania sono usati nella fabbricazione della birra, le danno maggior grazia e forza. Gli Arabi li adoperano per fare buon alito e ritengono che il loro aroma rafforzi le gengive. Plinio e Dioscoride dicono che la carota mette appetito. Fin dall'antichità si dava ai convalescenti. Areteo lo consigliava nell'elefantiasi. Più tardi ne usarono i medici contro il cancro e le ulceri, nell'asma, nella bronchite, fino nella tisi. È rimedio volgare nelle scottature. Esternamente, la polpa si usa raschiata cruda: internamente, il roob, lo sciroppo. In Turchia se ne preparano col suo succo biscotti e pane in polvere per i bambini.
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Il suo nome dal greco Daucus che vuol dire bruciare, perchè i semi della carota si ritenevano molto riscaldanti. Vuolsi originaria dalle sponde del
Il suo nome viene da chairon, giocoso, allegro e da phyllon foglia. Pianta erbacea, annuale, originaria di Sparta, che si avvicina al prezzemolo, à però foglie più larghe e ricciute. Si trova spontaneo nella Valtellina e si può seminare tutto l'anno in terreno fresco e ombroso. Il seme produce dai 2 ai 6 anni. Tutta la pianticella à odore aromatico e gradevole, sapore anisato che cresce col crescere della pianta, che perde col disseccarsi. Si coltiva per uso culinario e si adopera come condimento nei brodi, nelle vivande e nei legumi, massime nell'insalata. I semi vengono usati in distilleria e per confetteria. L'odore del cerfoglio allontana le formiche, e l'ombrella del cerfoglio sylvestre dà una tinta gialla. Nel linguaggio dei fiori: Assenza.
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Il suo nome viene da chairon, giocoso, allegro e da phyllon foglia. Pianta erbacea, annuale, originaria di Sparta, che si avvicina al prezzemolo, à
Nel linguaggio dei fiori: Temperanza. Il suo nome forse dall'arabo chikouryk. Il Tanara dice che il nome di cicoria viene dal greco cio, vado — e chorion, campo, vale a dire: cresco e mi trovo nei campi; Pianta erbacea, annuale e bisannuale, originaria dell'Europa, Barberia e Indie Orientali. Si semina da febbraio a settembre. Vuole terreno soleggiato e ricco. Ve ne ànno due specie — a foglie lunghe amarognola, e la cicoria scariola a garzuolo o grumolo (sciroeu). a foglie quasi tonde di sapore leggermente amaro; il
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chorion, campo, vale a dire: cresco e mi trovo nei campi; Pianta erbacea, annuale e bisannuale, originaria dell'Europa, Barberia e Indie Orientali. Si
, cioè che desumono il nome dalla forma. Nel linguaggio dei fiori: Goffaggine. È pianta annale originaria dall'Oriente o meglio dalle Indie. Ama bon terreno a mezzodì, larghe lrrigazioni, i semi durano fino a 10 anni. Ad ottenere grossi frutti si svetta la pianta dopo fiorita. La semente
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, cioè che desumono il nome dalla forma. Nel linguaggio dei fiori: Goffaggine. È pianta annale originaria dall'Oriente o meglio dalle Indie. Ama bon
Il coriandolo, o coriandro, o cimina, è pianta antica, originaria dell'Oriente e della Grecia, che passò in Italia e nella Francia meridionale, ove si è resa quasi indigena, e dove si coltiva negli orti. Si propaga per semi in aprile, si raccoglie in settembre, cresce dai 30 ai 90 centim., à foglie verdi chiare, fiori bianchi e porporini in maggio e giugno. Nel linguaggio dei fiori significa: Merito nascosto. Il suo nome coriandolo dal greco coris, cimice e da ambluno rintuzzare, perchè rintuzza la vista. I suoi grani freschi e le foglie verdi ànno un odore disgustoso di cimice, massime quando fa nuvolo e piove, per cui è anche chiamata: erba cimicina. Essicati sono gradevolissimi, aromatici, stimolanti. Entra il coriandolo nella composizione di molti liquori, in ispecie del Gin; serve come droga di cucina ed è condimento aromatico presso i popoli del nord. L'adoperano per aromatizzare la birra, lo mescolano al pane, lo masticano dopo il pasto, per facilitare la digestione, espellere le flattulenze e rendere gradevole l'alito della bocca. Gli Spagnuoli mettono le foglie del coriandolo nella zuppa, alla quale danno un sapore molto forte, e le mangiano pure in insalata. I medici gli assegnano virtù toniche, astringenti. Si amministra in infusione nell'acqua bollente e nel vino. Rivestiti i coriandoli di zuccaro se ne fanno confetti. Pestati e fatti cocere nell'acqua a densa decozione, servono contro le pulci spruzzandone le lettiere ed il suolo. I coriandoli, ànno dato il nome a quei proiettili di farina e gesso che negli ultimi giorni del Carnevalone insudiciano le vie, le case e gli abiti dei Milanesi. Gli antichi consideravano il coriandolo, allo stato verde, come erba velenosa, atta a produrre vertigini, sonnolenza, demenza. Varrone ci tramanda che il coriandolo trito e misto ad aceto serviva per conservare le carni nell'estate presso i Romani. La manna degli Ebrei somigliava al seme bianco del coriandolo del quale ne aveva pure il gusto (Ex., 16, 31) il che è confermato anche nel Libro dei Numeri (17, 7), tranne che ivi si aggiunge che la manna aveva anche il sapore del Bdellio, albero babilonese, trasudante una specie di gomma aromatica, ricordato pure da Plauto (Cure, Se. 2, a. 1) Tu crocum, tu casta, tu bdellium.
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Il coriandolo, o coriandro, o cimina, è pianta antica, originaria dell'Oriente e della Grecia, che passò in Italia e nella Francia meridionale, ove
Erba perenne, originaria dalla Giudea e dall'Egitto, vuole terra buona, esposizione solare. In estate dà fiori gialli. Nel linguaggio dei fiori: Mi rallegri. Se ne ànno quattro varietà. I semi durano due anni ma si propaga in primavera separandone le radici. Impedendo la pianta di fiorire, si prolunga fino all'autunno la produzione delle foglie, e del loro gusto primitivo. Le foglie di quest'erba si mettono nelle frittate e le rende più digeribili e gustose, si mescolano ad altre verdure e si fanno cocere. Coltivasi nei giardini. In Egitto è usata come tonico, à virtù vermifuga. Dioscoride, Teofrasto e Plinio ne fanno menzione.
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Erba perenne, originaria dalla Giudea e dall'Egitto, vuole terra buona, esposizione solare. In estate dà fiori gialli. Nel linguaggio dei fiori: Mi
Phaseolus dal greco Phaselos, navicella, alla cui torma s'avvicina il fagiolo. Il Tanara, dice che la parola fagiolo è dal latino phaseolus, perchè pervenne da Phaso, un'isola di Grecia. Pianticella annuale fecondissima e originaria dalle Indie Orientali, che dà il legume indigeno del fagiolo. Prospera nei terreni freschi e sostanziosi, ma viene quasi dovunque. Teme il freddo e perciò si semina tardi in aprile, e, nei terreni forti, anche in maggio. Sono tre le varietà principali: l'arrampicante, il nano ed il fagiolo dell'occhio. La varietà di Spagna (Phaseolus multiflorus) arrampicante, à grossissimi frutti violetti o bianchi saporitissimi, si può seminare da metà luglio a metà agosto, produce fino ai primi geli. Fra i nani, avvi il primaticcio (Phaseolus nanus), eccellente. Pregiato e saporito è anche il tondo (Phaseolus sphaericus), detto da noi borlott. La prima brina uccide il fagiolo. Dei fagioli si mangiano i semi freschi e secchi, e l'involucro loro, quando sono immaturi, che sono i cornetti (fagiolini). Questo legume nutriente, fornisce grande tributo alla cucina, ma è più o meno flatulento a seconda della qualità, quantità e degli stomachi. Vuol essere ben cotto, e cocetelo in acqua piovana o mettetevi della cenere. I migliori sono i verdi e teneri. Colla farina del fagiolo, si tentò farne del pane, mescolandola a quella di frumento, ma riesce pesante, compatto, indigesto. Cotto il fagiolo, passato allo staccio e liberato dalla buccia, è digeribile assai, perchè è la buccia la parte indigesta. Il fagiolo accompagna il riso, e fa l'allegria del minestrone, è d'ornamento gratissimo alle salsiccie, ai piatti d'umido, se ne fa eccellenti flan, punto indigesti. Il fagiolo non ama molto condimento, perchè secondo il parere della Cuciniera di M. Francisque Sarcey, porte son beurre avec lui. L'insalata di fagioli è per gli stomachi robustissimi. I cornetti si mangiano cotti con burro, panna e insalata. Si mettono in aceto come i citrioli. I cornetti si devono scegliere teneri, piccoli, senza grani già formati. i fagioli sono conservati nello stato di loro squisita succolenza, se vengono colti pri ma della loro perfetta maturità e se si fanno essicare all'ombra, nel loro guscio ed al sicuro d'ogni umidità. Virgilio nella Georgica,I, lo mette fra i cibi da villano:
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pervenne da Phaso, un'isola di Grecia. Pianticella annuale fecondissima e originaria dalle Indie Orientali, che dà il legume indigeno del fagiolo
Pianticella vivace, aromatica, originaria della Siria. Nel linguaggio dei fiori: Forza, robustezza. Cresce spontanea nei luoghi aprichi e soleggiati, ama terra grassa, esposizione calda, frequenti inaffiamenti. Si semina da febbraio a luglio, dà fiori gialli. Si coltiva come il sedano negli orti, è annuale e bisannuale, i semi durano 4 anni. La varietà selvatica è più forte. Il Finocchione è il finocchio dolce d'Italia, il romano. Il Foeniculum piperatum, o finocchio arancino, è raro fra noi, ma spontaneo e coltivato nelle regioni meridionali d'Italia. È celebre il finocchio di Faenza e di Porli. I teneri germogli, detti anche finocchini, si mangiano come erbaggi da tavola, crudi all'olio e pepe, cotti con burro, come il cardo. A Napoli e Sicilia i teneri germogli si mangiano nelle zuppe e minestre. Il seme detto anche erba bona, è droga di cucina e di pasticceria. Si adopera a dar sapore alle carni porcine allo spiedo, ai pesci fritti, alle salse, si fa bollire colle castagne. Serve alla preparazione dell'aquavita, dà bon alito, e in alcuni paesi lo mettono perfino col tabacco nella pipa. Onde il Varchi disse: Tu se' bono e fresco e secco, state e verno Gli è ben ingrato chi sue lodi tace.
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Pianticella vivace, aromatica, originaria della Siria. Nel linguaggio dei fiori: Forza, robustezza. Cresce spontanea nei luoghi aprichi e soleggiati
Pianticella erbacea perenne, indigena, originaria delle Indie. Vuole terreno sciolto, fresco, concimato con materie vegetali, preferisce esposizione non molto soleggiata. Si moltiplica per rampolli. Se ne conoscono nove varietà. Quella coltivata da noi è la bifera, spontanea dei nostri boschi e monti. Il suo nome, dal vecchio verbo fragare (
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Pianticella erbacea perenne, indigena, originaria delle Indie. Vuole terreno sciolto, fresco, concimato con materie vegetali, preferisce esposizione
Il suo nome dall'ebraico Ezop. È una pianticella perenne, erbacea, semi-legnosa, originaria dalla Siria, che somiglia il timo, dal quale divide le proprietà e le virtù. Si conoscono 4 varietà. Ama terreno sostanzioso, ma leggiero — si moltiplica per semi, divisioni di radici e per getti. Bisogna rinnovarla e dividerla ogni due o tre anni, perchè invecchia — à fiori tutta la state, ordinariamente bleu, qualche volta rossi e bianchi. Nel linguaggio dei fiori: Purezza. Le sue foglie e le estremità fiorite anno sapore amarognolo, caldo, aromatico, odore fragrante gradevole. Serve in cucina a dar gratissimo sapore alle carni cotte in stufato, a quelle crude che si essiccano, come lingue, coppe, ecc.; aromatizza l'aceto, lo si adopera per profumeria, per medicina. À virtù tonica, stomatica, espettorante, risolutiva, vermifuga.
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Il suo nome dall'ebraico Ezop. È una pianticella perenne, erbacea, semi-legnosa, originaria dalla Siria, che somiglia il timo, dal quale divide le
La Lattuga prende il nome dal succo lattiginoso che contiene. È pianta erbacea annuale, di patria ignota. Vuolsi sia originaria dall'India e dall'Asia centrale. Ve ne sono 3 varietà. Da noi se ne coltivano due, la comune e la romana. Vuol terra leggera ben lavorata e grassa e frequenti irrigazioni. Si semina da Marzo a Settembre, e la si preserva dai freddi coprendola; i semi ànno virtù fino ai 5 anni. S'imbianca come l'endivia. Il suo seme migliore è quello di due anni. Nel linguaggio dei fiori: sonno. Fu sempre conosciuta la sua azione soporifera, la quale risiede principalmente nei nervi della foglia. Galeno ne mangiava tutte le sere per procurarsi il sonno. Dioscoride e Celso l'avevano come succedaneo dell'oppio, ed è forse per questa sua proprietà d'addormentare che venne chiamata Erba dei Filosofi. Era opinione che la lattuga accrescesse il latte alle nutrici, e ciò si crede anche oggi. Pitagora la chiamò Eunachion. La lattuga fu dai romani consacrata a Venere e pochi di loro per rispetto alla Dea ne mangiavano. Era tradizione che Venere dormisse al fresco nella lattuga. Adone ucciso da un cinghiale venne seppellito sotto la lattuga. Marziale scrive che la si mangiava dopo cena, per dissipare i vapori del vino. Svetonio ci tramanda che Augusto decretò una statua al suo medico Antonio Musa perchè costui colla lattuga lo guarì dalla ipocondriasi. In ogni tempo fu creduta verdura refrigerante e debilitante. La lattuga a poco a poco era caduta in dimenticanza tale che non era neppure più coltivata verso la fine del 1600. Alcuni medici vollero emulare il Musa di Augusto. E Lanzoni la vantò contro l'ipocondria. Breteuil nelle convulsioni, Gouan nella nefrite e nell'itterizia, Schelinger nell'angina di petto, Brassavola nell'idropisia, Hudellet nelle febbri intermittenti, terzane, quartane, ecc.; insomma una specie di manna. Oggi si mangia in insalata e si mette nelle zuppe e negli intingoli diversi. Si crede che non lavata, la lattuga sia più saporita. Non va tagliata col coltello, a meno che la lama sia d'argento, ma si deve lacerarla colle dita. Colla lattuga si accompagnano assai bene le ova sode. Il proverbio dice:
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La Lattuga prende il nome dal succo lattiginoso che contiene. È pianta erbacea annuale, di patria ignota. Vuolsi sia originaria dall'India e dall
Il lazzeruolo o azzerolo è una pianticella a foglia caduca, originaria dei paesi caldi. Viene in piena terra, ama terreno sciolto, luoghi ombrosi. Si propaga per innesto sul bianco spino o sul nespolo. Molte varietà, fra le quali quelle a frutto giallastro, rosso e bianco. Nel linguaggio dei fiori e delle piante significa: Bacio. I suoi frutti acidoli e poco succosi si raccolgono d'ordinario in settembre. Sono l'amore dei bambini e delle ragazze — riescono più belli alla vista, che opportuni allo stomaco — diventano migliori alcuni giorni dopo il raccolto. Il suo legno si adopera a far strumenti musicali. Una delle 49 varietà è la Oxyacantha, dal greco oxyus acuto, e da acantha spina, che è il bianco spino delle nostre siepi, o Lazzeruolo selvatico. (Mil.: Scarrion, lazzarin selvadeg. — Fr.: Aubepine. — Ted.: Mehldorn. — Ingl.: Eglantine). — È uno dei più cari arbusti che colla candidezza e fragranza de' suoi fiori, ci annuncia il prossimo arrivo della primavera. Si trova copioso nelle siepi che difende, col viluppo de' suoi rami intricati e coll'arma delle pungenti sue spine. Dà fiori bianchi, numerosi, odorosi disposti in mazzetti in aprile, e coccole ranciate in luglio. Le sue spine nel linguaggio delle piante significano: Proibizione, ed i fiorellini: Dolci speranze. Il legno del lazzeruolo, è forte, tenacissimo — viene usato nei lavori di tornio ed anche di scoltura, giacchè si leviga benissimo e tiene con costanza le tinte.
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Il lazzeruolo o azzerolo è una pianticella a foglia caduca, originaria dei paesi caldi. Viene in piena terra, ama terreno sciolto, luoghi ombrosi. Si
Pianticella annuale originaria della Mesopotamia, che dà il noto legume coltivato molto in Francia e nel Vallese. Vuol terreno sciolto, asciutto, non molto grasso.
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Pianticella annuale originaria della Mesopotamia, che dà il noto legume coltivato molto in Francia e nel Vallese. Vuol terreno sciolto, asciutto, non
Il Màndorlo è pianta indigena a foglia caduca, originaria dell'Asia e precisamente della Siria e Barberia. Climatologicamente, occupa il posto tra la vite e l'ulivo. Ama il caldo, terre leggere e calcaree — languisce e muore nelle forti. — Si propaga per seme ed innesto su sè stesso. Nasce spontaneamente nella Sicilia, Spagna, Provenza, a Tripoli e Marocco, vegeta con prosperità sulle riviere di Genova. Fiorisce in Marzo ed Aprile, teme le brine ed il freddo. Se ne contano 9 varietà. La migliore è il màndorlo fino o princesse, il cui guscio si rompe colle dita. Alcune di queste varietà ànno frutto dolce, altre amaro, ma dall'albero mal si distingue il sapore del frutto. La maturanza si riconosce dall'aprirsi del pericarpo carnoso, il quale serve pel bestiame. Il suo nome dall'ebraico suo appellativo che significa vigilante, perchè è il primo albero che si risveglia, e perciò in linguaggio delle piante significa: storditaggine. L'uso della màndorla a tavola è assai svariato. Sì verde che secca, si mangia come frutta da dessert al cui scopo la più ricercata è la qualità detta saccarelle. Si confettano, se ne fanno varie paste dolci, fra cui l'orzata o semata di mandorle dolci che serve alla preparazione di una notissima bevanda. In Provenza si fanno essiccare al forno e sono di un sapore gustoso. Entrano nel torrone, nei biscotti, marzapani, crocanti, ecc., dove si mischiano pure le amare. La màndorla si pela sempre e, se secca, lo si fa facilmente immergendola nell'acqua bollente. Anche delle dolci l'epidermide che riveste i semi, giallognola se verdi, imbrunita se essiccati, à qualche cosa d'indigesto e di acre. Conservata a lungo la màndorla irrancidisce e per conservarla nella state, vuol essere di quando in quando esposta all'aria. Colle màndorle amare si fa una pasta che tiene morbida la pelle delle mani e del viso delle donnine, cosmetici e saponi. Le amare schiacciate o pestate, uccidono il pollame ed i volatili. Una volta si credeva fossero antidoto all'ubbriachezza. Plutarco riferisce che il medico Druso, fratello di Tiberio, tremendo bevitore, gli faceva inghiottire ad ogni bicchiere di vino, cinque màndorle amare, onde mitigarne gli effetti, ma pare che quel furbo di Druso le mangiasse per eccitare la sete, dicendo Eupoli che fanno venir voglia di bere:
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Il Màndorlo è pianta indigena a foglia caduca, originaria dell'Asia e precisamente della Siria e Barberia. Climatologicamente, occupa il posto tra la
Pianta erbacea perenne, originaria dall'Inghilterra coltivata in tutta Europa. Nel linguaggio dei fiori: Calore, forza di sentimento. Se ne conoscono 15 varietà: e tra queste la crespa, la romana e la peperita, quale è la migliore e la più usitata ed è il vegetale più caldo dei climi freddi. La varietà mentapulegium pulex irritans, serve ad allontanare le pulci ed è contro la golosità. Nel linguaggio dei fiori: Virtù. À odore piacevole, piccante, sapore amarognolo alquanto di canfora, della quale è ricca, eccita dapprima un calore alla bocca, su di che segue un grato fresco. Si coltiva negli orti e nei giardini. Vuole terreno sostanzioso e umido. Si moltiplica per semi e meglio per radici in primavera ed autunno. Fiorisce in estate. È coltivata in grande nella China, nell'Inghilterra e nell'America del Nord per farne essenza. Quella inglese è la più pre[giata,]
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Pianta erbacea perenne, originaria dall'Inghilterra coltivata in tutta Europa. Nel linguaggio dei fiori: Calore, forza di sentimento. Se ne conoscono
Pianticella gramignacea annuale, originaria delle Indie. Se ne contano 3 varietà, secondo il colore del seme, bianco, gialliccio e nero. Da noi si coltiva solamente il gialliccio, e vuol terreno sciolto, pingue, solatio. Si semina, raro, in giugno e luglio, dopo la messe. Si chiama miglio, dai mille semi che produce. Anche il miglio dà farina per alimento. Lo stesso nome antico di panicum, indica che serviva a far pane. Da noi si dice ancora pan de mej, perchè una volta anche da noi se ne usava, onde il sonetto del Burchiello: Perchè a Milan si mangia pan di miglio ? Plinio al lib. 28, cap. 10, dice:
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Pianticella gramignacea annuale, originaria delle Indie. Se ne contano 3 varietà, secondo il colore del seme, bianco, gialliccio e nero. Da noi si
La Myristica moscata è pianta ramosa, sempre verde, che si eleva fino a 15 metri, rassomigliante l'alloro, originaria delle Molucche, ora coltivata nell'Isola di Banda, a Cajenna, alle Antille, Brasile e Perù. Nel 1864 Banda ne possedeva 266.000 piante. Si propaga per semi ed alcune specie di colombe, segnatamente la carpaphora concinna, ànno una parte attiva nella sua disseminazione trangugiando il frutto, ed evacuando il seme che conserva e forse è favorito nella sua facoltà germinativa, dal passaggio per i loro intestini. À fiori piccoli, biancastri, che lasciano il posto a drupe, o frutti carnosi, grosse quanto un'albicocca, che si aprono in due valve, e lasciano vedere un seme ovoidale nerastro, duro, che è la sua vera noce. Essa è circondata da una pellicola o arilla di color rosso arancio, e frangiata quando è recente, ma che diventa gialla colla essicazione, ed è ciò che noi denominiamo macis. Nel linguaggio delle piante: Potenza. La raccolta di queste noci si fa in aprile, luglio e novembre, le qualità migliori sono colte a mano quando sono mature. Sul mercato inglese si valutano le noci moscate dalla loro grossezza, quelle che ànno circa due centimetri e mezzo di lunghezza, sopra due di larghezza, e dalle quali bastano soltanto quattro a formare un'oncia, sono tenute in alto pregio. Il macis lo si separa dal seme, lo si fa essiccare al sole, dopo averlo immerso nell'acqua salata, ciò che gli conserva morbidezza ed impedisce la volatilizzazione del principio aromatico. Le noci, spogliate del loro arillode, vengono rapidamente essiccate in camere affumicate, sino a che lasciano il loro sottile inviluppo. Così essiccate vengono in commercio, subendo però prima ancora un bagno di latte di calce, ciò che in China si omette. Le migliori noci moscate, sono quelle rotonde, pesanti, fresche, odorose, tramandano un sugo oleoso, aromatico, grasso. La noce moscata ed anche il macis contengono olio volatile, nel quale risiede tutta la loro energia, un'olio fisso, una sostanza buttirrosa volatile, ed un principio estrattivo solubile nell'alcool molto odoroso ed attivo. Questa sostanza buttirrosa che forma circa il quarto del suo peso, è conosciuta sotto il nome di burro noce moscata. Viene falsificata con miscela di cera gialla, sego e polvere di curcuma. La noce moscata, viene essa pure falsificata con quella tarlata dagli insetti, quella vecchia, ammuffita, esaurita colla distillazione e con quella fabbricata di tutto punto con pasta di farina, polvere e burro noce moscata, ma nell'acqua si stempera completamente. Jobard di Bruxelles riferisce, che, or sono una ventina d' anni circa, è arrivato da Canton un bastimento inglese, carico di... noci moscate di legno bianco, perfettamente modellate ed imitate. La noce moscata è fra gli aromi uno dei più potenti ad eccitare l'inerzia del ventricolo, a dar vita al cuore. Regala di graditissimo sapore molti manicaretti, sì di carne, che di verdure; e d'ova. Entra grattugiata non solo in cucina e nella pasticceria, ma nella distilleria, fa parte di vari elisiri, tinture, rosolj, ecc. Il macis è uno dei componenti l'aceto dei tre ladri. I medici assegnano alla noce moscata virtù toniche ed eccitanti. Se ne adopera l'olio in frizioni delle parti paralizzate. Averroè, vuole che, la noce moscata non fosse conosciuta dai Greci e dai Romani. Avicenna, antico medico arabo (n. 980+1037), la conosceva e dice che gli Arabi la chiamavano Jausiband, cioè noce bandese, e doveva essere nota anche agli antichi Egizi, perchè ne abbiamo trovati alcuni frammenti nelle loro mammie e si crede fosse ingrediente dei loro balsami a conservare i cadaveri. Serapione, nel libro II dei Semplici, la descrive appoggiato all'autorità dei Greci. Galeno la chiama crisobalano. Anche Emolao Barbaro, in Dioscoridem, è dell'opinioneche i Greci la conoscessero. Gli Olandesi, nel secolo scorso, si misero in testa di farne un loro monopolio e a tale intento ne distrussero quasi la specie nello Isole Molucche. Ma nel 1770 Poivre, governatore di Bourbon, riuscì a rapir loro, con quelli dei chiodi di garofano, alcuni alberi di noce moscata e li piantò a Maurizio e a Bourbon.
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La Myristica moscata è pianta ramosa, sempre verde, che si eleva fino a 15 metri, rassomigliante l'alloro, originaria delle Molucche, ora coltivata
La patata, o pomo di terra, o solano (dal latino solarium, sollievo), nel linguaggio dei fiori: Beneficenza, è una radice tuberosa originaria dall'America e precisamente dal Chili e dal Perù, dove si trova ancora allo stato selvaggio. Fu importata colla Dalia, e, curioso ! questa per il tubero, la patata per il fiore. Propriamente il nome di patata appartiene ad altra pianta, la vera patata ipomea o convolvulus patata, che viene solo nei climi caldi. Vuole terreno pingue, vegeta in tutti i climi, nelle più basse pianure come a 4000 metri sopra il mare (nell'America e nella Svizzera), sotto l'Equatore (Quinto) come nella Siberia. Da noi si raccolgono i tuberi dall'agosto al settembre, à fiori bianchi e violetti. Si propaga per seme o meglio si piantano i così detti occhi, che sono le parti della patata accennanti al germoglio, cessato il gelo da metà marzo in avanti. Si conservano per tutto inverno, ma al caldo fioriscono, all'umido marciscono, al freddo gelano, e temono la luce. Fu portata in Europa dagli Spagnuoli. Pedro Cicca fu il primo a parlarne nel 1553, e nel memedesimo anno Fiorentino Fiaschi ne scriveva da Venezuela a suo fratello. Il Cardano ne fa menzione nel 1557. Nel 1565 fu portata in Irlanda da Hawkins e poi introdotta in Francia. Prima che Releigh e Drake dalla Virginia la trasportassero in Inghilterra, era coltivata in Toscana, ne fa fede il frate Magazzini, e il Redi che nel 1067 ne mangiava in Firenze alla corte di Cosimo II. Le patate in Italia dapprincipio si chiamavano tartuffoli. Nella Germania s'introdusse nel 1710 e dovunque nel 1772 era coltivato negli orti botanici e nei giardini come pianta di lusso. Ma la sua diffusione, come tubero alimentare, fu lenta e contrastata. I codini d'allora, la avversarono come pianta sospetta, venefica. Ai codini si unirono i medici più celebri, che la incolparono della degradazione fisica e morale delle popolazioni, e fomite di tutte le malattie. Ai codini ed ai medici fecero coro anche i frati ed i parroci che dai pulpiti la chiamarono radice del diavolo. Figuratevi il popolo! Anche oggi la coltura della patata è interdetta in Corea. Non fu che sulla fine del secolo passato che potè trionfare. Gli sforzi fatti da Parmantier per convincere gli ostinati sono incredibili. Il 25 agosto 1785, proprio nel giorno della sua festa, Luigi XVI lo ammise alla mensa reale e Maria Antonietta, al ballo della medesima sera, ne ornò i suoi biondi capelli.
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La patata, o pomo di terra, o solano (dal latino solarium, sollievo), nel linguaggio dei fiori: Beneficenza, è una radice tuberosa originaria dall
Alla patata si può accoppiare il pero di terra (Heliantus tuberosus), detta pure patata americana, tartufo bianco, tartufo di canna. Franc.: Topinanbour, poir de terre, du Bresil; Ted.: Endbirn; Ingl.: Jerusalem artichoke. Radice tuberosa, simile alla pianta del girasole, con fiori gialli in settembre ed ottobre, originaria del Brasile e del Messico. Nel linguaggio dei fiori: Adorazione, falsa ricchezza. Vuol terreno ricco, si propaga, dividendone le radici in primavera. Resiste al freddo e venne coltivato in Europa prima della patata, e non è farinaceo come questa, si può lasciarla in terra anche l'inverno e lo si raccoglie al bisogno. Si usa fresco, e lavato va messo subito nell'acqua fresca, perchè non perda il suo colore. Lo si coce, gettandolo in acqua bollente e salata, in 30 o 40 minuti. Troppo cotto diventa duro e legnoso. Lo si condisce con salse, lo si frigge impannato, lo si fa in guazzetto, in insalata, ma è molto più indigesto della patata. Si vuole che l'Haliantus tuberosus possegga una particolare attività depurativa dell'aria ed aspiri una grande quantità di ossigeno a guisa dell'Eucalyptus.
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settembre ed ottobre, originaria del Brasile e del Messico. Nel linguaggio dei fiori: Adorazione, falsa ricchezza. Vuol terreno ricco, si propaga
Pianticella annua indigena originaria delle Antille, del Brasile e Messico. Si semina in primavera a tutto maggio, ama gran sole e terreno ricco, fiorisce in estate. I semi del peperone germinano fino ai quattro
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Pianticella annua indigena originaria delle Antille, del Brasile e Messico. Si semina in primavera a tutto maggio, ama gran sole e terreno ricco
Il pesco è pianta a foglia caduca, indigena, originaria dall'Asia e, più propriamente, come lo indica il suo nome, della Persia. Cresce in terreni buoni, caldi, ad esposizioni meridionali, difese dai venti. Vive anche nei climi freddi, ma non dà frutti. Si moltiplica per seme ed innesto sul màndorlo, sul pruno e sul cotogno. Vuolsi che dia frutti migliori e più belli piantando la pesca intera colla sua polpa. Cresce rapidamente dopo due o tre anni dà frutto, ma presto invecchia deperisce; pochi peschi passano i 20 anni. Si allunga la loro vita innestandoli sul màndorlo. À fiori rosei prima delle foglie, che sono distrutti facilmente dalle brine e dalle forti pioggie primaverili. Dà frutti maturi da luglio ad ottobre, a seconda della varietà, che sono assai numerose. I botanici dividono il pesco in due famiglie, quello a frutto coperto di pelurie, a quello a frutto liscio; ambedue suddividonsi, alla lor volta, in frutto a polpa e carne succosa, spiccaciola, che facilmente abbandona il nocciolo, e in frutto a polpa consistente, duracina (franc, pavies), che non si stacca dal nocciolo.
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Il pesco è pianta a foglia caduca, indigena, originaria dall'Asia e, più propriamente, come lo indica il suo nome, della Persia. Cresce in terreni
La pimpinella (da bipennula, per le foglie bipennate) detta anche salvastrella, è originaria della Germania. Ve ne ànno di 5 specie. Il seme à durata germinativa per tre anni. È pianticella erbacea perenne, si moltiplica per seme, ma meglio per radici in autunno, si adatta a qualunque terreno, ma lo predilige umido e fresco, à fiori a spira rossastra, nasce naturalmente nelle montagne e nei prati, resiste al freddo. Nel linguaggio dei fiori: noncuranza. Si coltiva negli orti per uso di cucina; le sue foglie servono per condimento e per guarnizione d'insalata. Si raccomanda per il suo odore di melone. I suoi fiori, messi in decozione con certa quantità di allume, sviluppano un bellissimo color grigio che serve a tingere la lana, la seta ed il cotone. Gli antichi ne usavano per guarire la tabe. Pare fosse l'erba chiamata dai Greci Phrinion, usata contro i morsi dei rospi, chiamati appunto dai Greci phrinos. È leggermente astringente. Un proverbio dice: «L'insalata non è bona nè bella, se vi manca la pimpinella.»
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La pimpinella (da bipennula, per le foglie bipennate) detta anche salvastrella, è originaria della Germania. Ve ne ànno di 5 specie. Il seme à durata
Il cotogno è pianta indigena, a foglia caduca, originaria dalla Grecia. Vuol terreno sciolto, fresco, clima caldo, teme il vento. Si propaga per barbatelle, semi, tallee. Conta poche varietà: il comune, o cotogno di China (Cydonia Sinensis)a frutto piriforme ed oblungo molto grosso ed il cotogno di Portogallo (C. lusitania), che è il migliore. In aprile e maggio dà grandi fiori bianchi o di un rosso pallido. Frutti gialli in ottobre. Nel linguaggio delle piante: Fastidioso. Il suo nome Cydonia, da Cydon, città dell'isola di Creta, fondata da Cidone, figlio di Apollione, da dove venne in Italia. I Greci lo chiamavano: Crysomela, Catone:cortonea, Virgilio: mela aurea, perchè maturando acquista color giallo dorato (Buc, Egl. III, n. 73): aurea mala decem misi, cras altera mittam. Evvi chi vuole che il suo nome venga da coctognus, il che si potrebbe spiegare da ciò, che si mangia coctus, perchè crudo è insipido. La cotogna è frutto grosso come una mela ordinaria, carnoso, giallo anche nella polpa, di odore penetrante, che facilmente comunica agli oggetti vicini e si forte che non si può, senza incomodo, tenerlo nelle camere d' abitazione. À sapore sì astringente ed agro, che è impossibile mangiarlo crudo, lo perde però colla stagionatura, coll'essiccazione, colla cottura, ed
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Il cotogno è pianta indigena, a foglia caduca, originaria dalla Grecia. Vuol terreno sciolto, fresco, clima caldo, teme il vento. Si propaga per
Pianticella annua conosciutissima, originaria dall'America Meridionale, e venuta tardi in Italia. La sua propagazione in Europa non conta più di due secoli. Cento anni fa era appena conosciuta da noi. Non à quindi storia nè greca nè romana. Vuol terreno lavorato, piuttosto asciutto, non tanto pingue e molto soleggiato.
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Pianticella annua conosciutissima, originaria dall'America Meridionale, e venuta tardi in Italia. La sua propagazione in Europa non conta più di due
Il popone, volgarmente detto melon, è una pianta erbacea, annua, indigena, originaria dall'Asia. Depone, dal greco pepo, che significa maturo. Vuol terreno sciolto, lavorato profondamente, grasso, fresco. Per la coltura forzata, si semina su letto caldo in gennaio, febbraio, marzo: solo in aprile e maggio all'aperto si trapianta. Ama la mezz'ombra e la pulitezza, il troppo umido gli è dannoso. Si svetta, a farlo più prolifico e ad impedirne una soverchia vegetazione. I semi del popone germinano fino ai 5 anni. È maturo quando il suo peduncolo è corto, grosso, à sapore amarognolo, e quando il frutto è pesante e resistente alla pressione. L'odore non deve essere molto pronunciato. La troppa sonorità del frutto, battuto colle dita, è indizio d'immaturità. Il distico seguente ve lo insegna:
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Il popone, volgarmente detto melon, è una pianta erbacea, annua, indigena, originaria dall'Asia. Depone, dal greco pepo, che significa maturo. Vuol
Il ramolaccio, o armoracio, è radice annuale, indigena, originaria della China o dell'Asia Minore. Vuole terreno sciolto, pingue e buona esposizione, abborre il massimo caldo. Il seme à virtù per 5 anni. Avvene molte varietà, sì per grandezza che per forma e colore. I bianchi grossi e i ruggini dolci, d'estate si seminano da marzo a giugno, per averne in estate ed autunno. I rotondi, o lunghi, sia bianchi che neri forti, dal giugno a settembre, per averli dall'autunno a primavera. Il ravanello è bianco o rosso, rotondo o lungo, o rosa lunghissimo di Firenze. Si può seminarlo tutto l'anno ed averne tutti i mesi. Meglio seminarlo appena terminati i geli. La miglior semente è quella dell'anno antecedente. Avvi pure il ravanello serpente (raphanus caudatus) di Oiava, ancora poco conosciuto, che à lunghissimi baccelli terminali che possono prolungarsi lino a un metro, di gusto piccante, e che, verde, si pone in aceto. Il ramolaccio e il ravanello addivengono stopposi, bucherati o tarlati, e ciò dipende dalla qualità della terra (che amano terreni forti, tenaci ed asciutti), o al lasciarli troppo nella terra dopo sviluppati, o al conservarli qualche giorno dopo colti. Nel linguaggio delle piante: Dispetto. Il ramolaccio à gusto acre, piccante, si mangia crudo con sale, olio, pepe colla carne. È considerato un condimento pesante allo stomaco e diffìcile a digerirsi. Fu detto che il ramolaccio fa digerire tutto, ma egli non è digeribile:
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Il ramolaccio, o armoracio, è radice annuale, indigena, originaria della China o dell'Asia Minore. Vuole terreno sciolto, pingue e buona esposizione
Pianticella annuale gramignacea, aquatica, originaria della China e delle Indie Orientali, che dà il grano da tutti conosciuto. Il suo nome, riso, dal greco Oryza, derivato anch'esso dall'arabo Eruz. Dopo il frumento è l'alimento più sano e nutritivo. Il riso nasce, vegeta e matura nell'acqua, ed ama tutta la pompa del sole: non può vivere senz'acqua e senza sole. Nel linguaggio dei fiori: Ricchezza. Si coltiva dappertutto. Il riso per essere bono, dev'essere novo, ben mondato, ben netto, grosso, bianco, che non sappia di polvere nè d' altri odori. Il riso di più difficile cottura è il più saporito. Col riso si fa pane, il quale è assai bianco e di bon gusto, ma non s'inzuppa bagnandolo. Ma l'uso principale del riso è nella cucina. Nazioni intere se ne fanno il loro nutrimento quotidiano. Il Pilao dei Cinesi non è che il riso. Si coce da noi ogni giorno in minestra, al grasso, al magro, col burro, col latte, coll'olio. Si mescola con ogni sorta di legumi, erbaggi e carnami, se ne fanno torte, pasticci, frittelli, tortelli. Universalmente lo si fa cocere sino all'intero disfacimento, solo da noi si mangia, come si dice, al dente. Sarà forse per effetto di assuefazione, ma da noi lo si trova più saporito così. La cucina milanese, à dato al mondo col riso quel capolavoro che si chiama Risotto, il vero monopolio del quale, per quanto si sia fatto, non si è ancor tolto dalle mani dei veri Milanesi. Alcuni asseriscono che da noi il riso venne introdotto nel secolo XVI, ma è certo che in Italia invece era anticamente conosciuto. Plinio scrive che in Italia
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Pianticella annuale gramignacea, aquatica, originaria della China e delle Indie Orientali, che dà il grano da tutti conosciuto. Il suo nome, riso
Salvia è dal latino salvare per le grandi virtù che possiede. Salvia salva, diceva un proverbio romano. È pianta erbacea perenne, indigena, originaria dell'Armenia, si moltiplica per getti, per divisione di radici ed anche per semi: questi germinano fino a tre anni. Brama terra sostanziosa ma piuttosto leggera, vuol essere di preferenza addossata al muro, ama il sole, porta fiori dal giugno al luglio. Nel linguaggio dei fiori: ambizione, stima. Ve ne sono più di 80 varietà, gran parte delle quali si distinguono pel loro grato odore e per l'eleganza. L'officinalis, che è quella comunemente conosciuta, si coltiva negli orti per la cucina e la medicina. La parte usata sono le foglie e le cime fiorite, à forte odore aromatico, sapore caldo amaro piccante. La salvia mescolata con cipolla in insalata eccita l'appetito, massime posta sopra le alici. Se ne veste ogni arrosto, in ispecial modo gli uccelletti e i pesci, ai quali dà bonissimo odore e sapore. Pesta e stemperata con aceto, mista con zucchero ed aglio fa una salsa non isgradevole. Le minestre di legumi (e più quella di ceci) prendono sapore dalla salvia. Involta nelle frittelle, massime se di farina di castagne, dicono sia ghiotta. Cotta con aceto, olio, zafferano e poco zuccaro fa un ottimo marinato per il pesce. Friggesi la salvia con olio, burro, strutto, se ne regalano tutti i fritti. La salvia sta bene per tutto, fuori che nei lessi, a' quali non s' addice per la sua amarezza. Attiva le funzioni digerenti e circolatorie, aumenta il calore animale, modifica l'influenza nervosa. La farmacia ne estrae un olio essenziale e ne fa una infusione della quale la medicina si serve ad eccitare i sudori e a rianimare le forze vitali, perchè la salvia è tenuta come un bon stimolante. Il decotto di salvia è giudicato volgarmente come un febbrifugo e in primavera come un depurativo del sangue. Gli antichi ne facevano molto uso. Tutti l'ànno lodata. Da Agrippa veniva chiamata herba nobilis, herba sacra. Era tanto comune il suo uso presso i latini che inventarono perfino il verbo salutare, dare una porzione di salvia, condire con la salvia. E la Salernitana si meraviglia come possa morire un uomo che abbia nel suo orto la salvia:
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, originaria dell'Armenia, si moltiplica per getti, per divisione di radici ed anche per semi: questi germinano fino a tre anni. Brama terra sostanziosa ma
Satureja, santoreggia, savoreggia, coniella, peverella, erba acciuga è la medesima pianticella annuale, originaria della Spagna, vaga per la sua fioritura bianco-porporina. Si risemina da sè abbondantemente, e nasce facilmente dovunque, il suo seme germina fino a' tre anni. Nel linguaggio dei fiori: Ingenuità. Ve ne sono 8 varietà, tutta la pianta è aromatica. I cuochi la ricercano per rendere più grato il sapore delle fave, delle lenti, dei piselli secchi e degli altri legumi, ai quali si unisce assai bene come in tutte le salse. I Tedeschi la mettono nel loro Sauer-Kraut. Fu chiamata la salsa dei poveri. È utile in medicina, come stomatica, la sua decozione è buona per gargarismi e spruzzata nelle orecchie per le otiti, da qui forse il suo nome popolare di santoreggia, giova nelle affezioni vaporose. Colla satureja se ne profumano le abitazioni in tempo di epidemia e le stalle quando regnano le epizoozie. Il suo nome satureja, dall'antico satyreja, perchè di questa erba se ne cibavano volentieri i satiri, certi uomini che c' erano una volta e che avevano le corna e i piedi di capra. Era detta dai Romani cunila e coniza (da qui l'altro nome popolare di coniella), che il volgo chiamava anche pulicaria, perchè serviva a scacciare le pulci, virtù che conserva anche oggidì, emula della maggiorana. Sulle infinite virtù di questa erba, Strabone ebbe a dire:
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Satureja, santoreggia, savoreggia, coniella, peverella, erba acciuga è la medesima pianticella annuale, originaria della Spagna, vaga per la sua
perde di bontà. Gli uccelli sono assai ghiotti del suo seme. La specie humilis dà fiori dei quali si cava una tintura color nero. Alla prima specie (tropogon) appartiene quella così detta barba di becco barba di prete (tropogon pratense) in milanese barbabicch o erbabicch od anche bassabìcch. Alcuni la vogliono originaria dalla Siberia, ma pare invece che sia della Spagna, come lo indica anche il suo cognome hispanica, la quale si ritiene pure la sola vera scorzonera. Il suo nome viene dal colore della sua scorza. Il medico portoghese Nicolò Monardes, scrive che la scorzonera fu scoperta solo verso la metà del secolo XVI ad Urgel in Catalogna, in una località detta il Monte Bianco. E racconta che quel paese era molestato ed invaso da serpi velenose, dette scorzoni, e che un moro d'Africa curava i morsicati colla sua radice. Da qui il medico portoghese inferisce che venne il suo nome di scorzonera, cioè erba atta a guarire dagli scorzoni che, a sua detta, muoiono subito se si riesce a metterla loro in bocca. Ve la do come l'ò trovata su un libro stampato a Venezia appresso Francesco Zilletti nell'anno 1582.
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. Alcuni la vogliono originaria dalla Siberia, ma pare invece che sia della Spagna, come lo indica anche il suo cognome hispanica, la quale si ritiene pure
Lo spinacelo o spinace di orto, è pianticella erbacea annuale, indigena, originaria dall'Asia. Vuol terreno sciolto, sostanzioso, grasso, lavorato, si semina da gennaio a tutto settembre per averne l'anno intero. Il seme dura per 5 anni. Nel linguaggio dei fiori dice: Confidenza. Pongasi cura a coprirlo leggermente dal freddo e a tenerlo pulito dalle erbe selvatiche. Fra le varietà di spinacci notiamo quello d'Inghilterra a semi pungenti, a lunghe foglie, quello d'Olanda a foglie rotonde, di Fiandra, quello a foglie di lattuga larghissime, infine la recente varietà Viroflay, la quale sorpassa in prodotto tutte le altre. Lo spinacelo è cibo leggiero, ma gustoso e sano. Chi lo cuoce asciutto e chi all'aqua; migliore il primo metodo. Si mangia in minestra, triffolato, si frigge, si marina. Se ne fa torte e puree, si marita alla frittura e colle lumache. Gli spinacci sono leggermente lassativi e non convengono a tutti gli stomaci. Fu portato lo spinaccio dagli Arabi in Spagna e dalla Spagna in Italia, e dapprima erano detti spagnacci, d'onde la corruzione spinacci. Serapione invece assevera che in lingua araba sono detti spanacli. Altri invece vogliono il suo nome da spina, perchè la sua semente è a punta spinosa. Opinano alcuni scrittori che lo spinaccio non fosse conosciuto dagli antichi, ma pare che fossero da questi indicati sotto il nome di atriplex e blitum. Greci e Latini convengono che l'atriplex e il blitum erano:
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Lo spinacelo o spinace di orto, è pianticella erbacea annuale, indigena, originaria dall'Asia. Vuol terreno sciolto, sostanzioso, grasso, lavorato
Il susino o prunoè una pianta indigena a foglie caduche, originaria dell'Asia. Le qualità migliori seguono il clima della vite. Da noi resiste ovunque all'aperto e sui monti fino a 400 m. Fiorisce a metà aprile e matura, a seconda delle varietà e posizioni, dal luglio a tutto ottobre. Soffre l'ombra, ama terreno fresco, non umido. Si propaga per polloni, ma meglio per nocciolo e per innesto. Infinite le sue varietà, alcune delle quali si consumano verdi ed altre meglio si prestano ad essere essiccate. Noto la Mirabella (brugna gialda) che matura alla fine di luglio. La Damascena, originaria di Damasco portata dal duca d'Anjou al tempo delle Crociate, nome che si corruppe poi in d'amoscina, moscina e volgarmente massina, e da noi per eccellenza la nera (Prunus domestica ungarica). — La Regina Claudia (brugna Sancló) grossa e piccola, che matura in agosto, e la Settembrina, ecc. Nel linguaggio delle piante significa: Promessa. Il raccolto delle susine da conservarsi deve farsi delicatamente, a mano, quando sono asciutte dalla rugiada e dalla pioggia. La susina è nutriente quanto il fico, è di facile digestione e costituisce un cibo grato, sì fresca la state, che essiccata nel verno. Sotto questa forma ne fanno attivo e proficuo commercio diversi paesi meridionali d'Italia e di Francia. Quelle di Palermo e di Provenza sono le più stimate. Si conciano al giulebbe, servono nei ragouts e nei ripieni delle pollerie,, massime del pollo d'India, al quale levano quella certa ruvidezza e selvatichezza di sapore che possiede la sua carne. Si conservano nello spirito, aromatizzate e confettate. In Germania, nella Lorena e nella Svizzera se ne fabbrica alcool, i tedeschi lo chiamano Zwetschker-wasser. Gli Ungheresi Sligowitz e in Transilvania Raki. In farmacia, massime della qualità damascena, se ne fa conserva e polpa, che viene spesso a surrogare, con innocente falsificazione, quella dei tamarindi e cassia e che non è meno rinfrescante e lassativa. Serve pure a preparare, come ingrediente principale, l'elettuario lenitivo, giova agli stitici, onde quel proverbio: mangiando di molte susine, saran di quaresima molt' erba. Ario morì d'una scorpacciata di susine. Il legno è durissimo e serve egli intarsiatori. La Scuola Salernitana, dice:
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Il susino o prunoè una pianta indigena a foglie caduche, originaria dell'Asia. Le qualità migliori seguono il clima della vite. Da noi resiste
A comodo dei non enologi voglio delineare i suoi frutti in uve bianche e nere, a sapore semplice e a sapore profumato, infine in uve da tavola e uve da vino. La vite dopo quarant' anni comincia a deperire. Fiorisce in maggio e matura, a seconda della qualità e particolari condizioni, da agosto ad ottobre. Si coglie a maturanza perfetta e perfettamente asciutta tanto per mangiarla allo stato fresco, come per conservarla o farne vino. La Mitologia dice che i primi propagatori della vite furono Osiride e Bacco e le prime vigne furono piantate nelle isole dell'Arcipelago greco, dedicandole agli Dei. È evidente che nè Greci, nè Romani ebbero notizie di Noè. I più antichi botanici pretendevano che la vite fosse originaria dall'Asia, che i Fenici l'avessero importata nelle isole dell'Arcipelago,
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Dei. È evidente che nè Greci, nè Romani ebbero notizie di Noè. I più antichi botanici pretendevano che la vite fosse originaria dall'Asia, che i Fenici
La parola zafferano è d'origine araba. Lo zafferano è pianta perenne, bulbosa, originaria dell'Asia Minore, dove è indigena. I suoi fiori, che dà in autunno sono ordinariamente di un colore violetto porporino, gli stimmi di un rosso aurora molto odorosi. Nel linguaggio dei fiori: Sfacciataggine. Ama terreno asciutto, forte, ben esposto e sostanzioso. Si raccolgono i fiori per levarne i pistilli rossi fragrantissimi. Si moltiplica per bulbilli, che formansi tutti gli anni attorno al bulbo madre, e si piantano in agosto. Varietà: il Crocus vernus, il Crocus multiflorus e lungiflorus, che nasce selvaggio in Sicilia. Coltivasi un di presso come l'aglio e le cipolle. Vegeta anche nel nord, ma teme i freddi rigorosi, e perisce sotto il 15°. Lo zafferano à sapore piccante ed amaro, odore forte particolare. Il suo nome crocus, da crochè, filo, per gli stilli filiformi che costituiscono il suo fiore.
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La parola zafferano è d'origine araba. Lo zafferano è pianta perenne, bulbosa, originaria dell'Asia Minore, dove è indigena. I suoi fiori, che dà in